Legge di Bilancio 2021: blocco licenziamenti fino a Marzo

 

Lo stop di procedere a licenziare i lavoratori rimasti a casa a causa della chiusura delle attività lavorative, è stato previsto immediatamente nel mese di Marzo con il “Decreto Cura Italia” (D.L. n. 18/2020) per far fronte all’emergenza causata dal Coronavirus. Lo stop dei licenziamenti riguardava i licenziamenti collettivi, ai sensi della L. n. 223/1991, e i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3, della L. n. 604/1966 ma andiamo a vedere cosa cambia con la nuova Legge di Bilancio.

 

 Tutte le novità della Legge di Bilancio 2021

 

Legge di Bilancio 2021: blocco licenziamenti fino a MarzoFin dall’inizio di questa pandemia le due misure principali in tema di lavoro, cassa integrazione e impossibilità di licenziamento, hanno viaggiato in parallelo. E anche per il 2021 sarà così. Di fatto, fino al prossimo 31 Marzo, i Datori di Lavoro non possono:

 

  • avviare la procedura di licenziamento collettivo previsto dalla L. n. 221/1991 (il licenziamento collettivo vale per le aziende che occupano più di 15 dipendenti, e in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, hanno intenzione di effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco temporale di 120 giorni nell’unità produttiva oppure in più unità produttive dislocate nella stessa provincia e quelle in cassa integrazione);
  • nel caso in cui nel corso o al termine del programma emerga la necessità di procedere anche ad un solo licenziamento;
  • indipendentemente dal numero dei dipendenti, recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1996, in quanto può avvenire solamente in due casi specifici: notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del dipendente, oppure, ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di questa.

 

Blocco licenziamenti: quando non si applica?

 

Esistono dei casi in cui il divieto non si applica. In via principale, ciò può avvenire per i seguenti motivi:

 

  • cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività;
  • fallimento, senza esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne viene disposta la cessazione;
  • accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. Da notare che il divieto viene meno solo per i lavoratori che aderiscono all’accordo e che hanno diritto alla NASPI;
  • i licenziamenti per la fruizione del pensionamento per la “quota 100”;
  • i licenziamenti dovuti al superamento del periodo di comporto;
  • i licenziamenti per inidoneità;
  • i licenziamenti dei lavoratori domestici, in quanto, in tali casi, il recesso è “ad nutum”.